L’amore per la “clanfa” ha sempre contraddistinto i triestini ancora prima che sorgessero i primi stabilimenti balneari. Di solito chi si concedeva un tuffo in mare nelle calde giornate estive, magari anche in zone proibite come le acque del porto, erano ragazzini oppure qualche marinaio. Lo attesta questo Avviso che risale al 7 giugno 1809, firmato dal Cavalier Ignazio de Capuano, Preside del Magistrato, e che, dati i tempi, prometteva severe punizioni a chi infrangesse il divieto di bagnarsi nelle acque davanti alla città magari, come poteva capitare, senza il debito costume. «Chiunque verrà trovato a nuotare nudo fra un Lazzaretto e l’altro sarà immancabilmente arrestato e punito, ed in quanto a’ Ragazzi, gastigati verranno anche con vergate». La zona incriminata era lo spazio fra il lazzaretto Vecchio, quello di S. Carlo (che sorgeva proprio dove oggi si trova il Museo del Mare) e il Nuovo di Maria Teresa nella zona di Roiano. Nelle aree esterne ai Lazzaretti era peraltro possibile prendere un bagno ed anzi questa attività, considerata salutare, veniva incoraggiata specialmente per i marinai che così potevano addestrarsi nel nuoto per cui alcuni tratti di spiaggia, specialmente a S. Andrea, erano delimitati da un palo che portava la scritta ”Luogo di pubblici bagni”. Ma nonostante ciò non mancavano gli abusivi e, anche in tempi successivi, quando il Canal Grande divenne il centro dei traffici e punto di arrivo dei velieri, si notavano i ragazzini di Città vecchia farsi qualche tuffo fra una barca e l’altra, rischiando di essere investiti da un veliero che trasportava angurie o scaricava ortaggi dalla Romagna e dalla Puglia. E allora venivano inseguiti dai gendarmi in qualche spettacolare guardie e ladri. Ma nei primi decenni dell’800 il porto cominciò a popolarsi di stabilimenti balneari destinati alla borghesia cittadina e il panorama era destinato a cambiare. Sì perché i primi bagni pubblici non sorsero lungo le spiagge ma sullo specchio di mare di fronte alla città, ancorati a zattere e fissati con ancore: erano i bagni galleggianti e Trieste fu una delle prime città in Italia a inaugurarne uno (era il 1824). Aveva un nome pretenzioso, “Il soglio di Nettuno”, ancorato davanti a piazza Giuseppina (oggi piazza Venezia) e raggiungibile in barca o su una passerella lungo la quale si incamminavano distinti signori ed eleganti dame in abito lungo. Nelle numerose cabine dotate di ogni comfort si poteva immergersi in acqua di mare riscaldata a piacere, nuotare in appositi spazi e soprattutto concedersi ore di relax nella ben fornita caffetteria. Visto il successo a poco a poco il nostro golfo si riempì di stabilimenti galleggianti, vere e proprie isole di divertimento estivo.
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