ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE – TRIESTE
SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO
Commissione TAM – Tutela Ambiente Montano
23° Corso anno 2024
ASPETTI MORFOLOGICI E NATURALISTICI FRA AURISINA/NABREŽINA E SAN PELAGIO/ŠEMPOLAJ CON LA PRESENZA DI UNA MISCONOSCIUTA CISTERNA STORICA (CARSO TRIESTINO)
Martedì 9 aprile p.v. alle 17,30 presso la sala dell’associazione XXX ottobre Sezione del Cai di Trieste via Battisti 22 Conferenza storico/naturalistica del Prof. Elio Polli, propedeutica all’escursione di domenica 14 Aprile (vedi qui sotto)
PROGRAMMA
L’escursione sarà effettuata con mezzi propri. In alternativa con bus di linea 44.
Ore 07:50 – Ritrovo in Piazza Oberdan con formazione degli equipaggi. Per quanti dovessero prendere il bus 44 orario di partenza 8:05 con arrivo ad Aurisina/Nabrežina centro 8:36, dove troveranno ad attenderli quelli partiti con le macchine.
Ore 9:00 – inizio dell’escursione storico-naturalistica verso San Pelagio/Šempolaj
Ore 13.30 – Conclusione dell’anello escursionistico dinanzi al Cimitero di Aurisina per poi proseguire per Aurisina Centro.
PREMESSE – Il territorio carsico, compreso fra le località di Aurisina/Nabrežina e di San Pelagio/Šempolaj, offre numerosi ed interessanti spunti storico-naturalistici. In particolare, la zona che s’estende a SW di San Pelagio è caratterizzata da una diffusa
predominanza di pittoresche seppur tormentate forme carsiche superficiali evolute, fra le quali spiccano i campi solcati/karren e le
grize, i frammentati tipici detriti carsici. La plaga stessa è peraltro attraversata da un buon sentiero (N. 35) che si diparte dal segnavie contrassegnato dal N. 32, traccia ben frequentata quest’ultima che prosegue verso la vicina “Grotta Pocala” (Pečina pod kalom, 173/91 VG) salendo poi verso la più distante “Grotta Antonio Federico Lindner” (829/3988 VG).
Il sentiero N. 35 trae origine 230 m a nord dall’intersezione della Ferrovia Meridionale (Trieste C.le-Villa Opicina) con il Raccordo Autostradale 13 (la vecchia S.S. Triestina N. 202), in corrispondenza all’Abisso presso il Viadotto (Jama Tončka, 217/258 VG). Il tracciato sale, con moderata pendenza, verso San Pelagio fendendo dapprima una zona ad intricata boscaglia con numerosi affioramenti ed interessando quindi una plaga più ampia, a prativo arioso con un singolare rudere bellico, ben aperta e soltanto in fase d’iniziale
incespugliamento. Al limitare di quest’ultima, proprio in corrispondenza d’aspri campi solcati, s’aprono alcune fra le più fascinosa cavità dell’Altipiano carsico, quali la “Grotta delle Torri di San Pelagio” (1213/4205 VG) a N e la “Grotta Natale” (551/2743 VG), 450 m ad ESE. Non mancano, oltre ai karren, ulteriori particolarità morfologiche, quali irregolari e suggestive doline di crollo, e qualche criptica frattura baratroide, rigogliosa di vegetazione umbrofila. Sotto l’aspetto idrologico, relativamente frequenti appaiono le raccolte d’acqua, specialmente quelle di dissoluzione chimica/kamenitze, considerato l’ambiente specifico. Ma è pure possibile rintracciare qualche bacino acqueo naturale, formatasi sul fondo impermeabile di recondite depressioni. Una marcata conca, posta a SSW della località, include una storica cisterna perenne, invero poco conosciuta e che sarà oggetto di un’adeguata visita. In alcuni punti strategici del territorio è possibile individuare alcuni cippi datati, risalenti per lo più all’anno 1819, che ancor oggi costituiscono preziose testimonianze di antiche demarcazioni confinarie.
Il clima della zona, esposta prevalentemente a SW è temperato con notevoli influssi marittimo-mediterranei. Il territorio non è di norma colpito direttamente dalla bora e, lungo il margine costiero, esso risente ancora in modo considerevole la presenza del mare. La vegetazione termofila denota, quale conseguenza di ciò, la presenza sempre più marcata della salvia/Salvia officinalis, ben diffusasi ormai specialmente nella plaga che affianca la linea ferroviaria in prossimità del Casello di q.160,8 m. Altre tipiche essenze che si distinguono nell’ambiente sono Clematis flammula, Osyris alba, Teucrium flavum.
I CAMPI SOLCATI DI SAN PELAGIO – Favorite dalla purezza dei calcari, dalla giacitura della poco inclinata stratificazione e dall’alternanza di banchi compatti, affiorano, in questa zona tipica del Carso Classico, tutte le più importanti forme di corrosione
superficiale. Fra queste, spiccano i variegati campi solcati/karren, i profondi solchi, i crepacci/kluftkarren dalle molteplici fratture, i fori di dissoluzione dall’aspetto tubulare e le singolari kamenitze, le vaschette di dissoluzione a forma ellittica o sub-circolare, a varia tipologia. Non mancano inoltre le caratteristiche grize, le pietraie costituite da frammenti di roccia staccatesi dal substrato roccioso a causa della dissoluzione lungo le superfici di discontinuità.
LA SINGOLARE CISTERNA – Il caratteristico manufatto, pressoché circolare, si trova in una marcata depressione alla quota di 184,6 m e dista 350 m a SW dal cimitero di San Pelagio. Si tratta di una suggestiva raccolta storica che s’è conservata nel tempo e che ancor oggi è in grado di contenere una buona quantità d’acqua nel corso di tutto l’anno. Alla data del rilievo (5.5.1985), le dimensioni erano le seguenti: 6,90 x 6,65m. E’ circondata da una rozza muratura che, nella parte meridionale, risulta interrotta. Significativo è il fatto che, a settentrione, venne realizzato un canale (lungo 3,20 m e largo dagli 85 ai 100 cm) che consentiva l’accesso al bacino al bestiame per l’abbeverata.
Attualmente questo varco persiste ma è in gran parte occluso dalla rigogliosa vegetazione che s’è sviluppata nel corso del tempo. La profondità massima del bacino, allora di 90 cm, ora risulta ridotta (40 cm) in quanto sul fondo si sono depositate sia ramaglie che un
considerevole strato di materiale marcescente. L’ambiente, poco luminoso a causa della rigogliosa verzura circostante, non consente che in minima parte la presenza di una vegetazione a carattere palustre. La colorazione dell’acqua è di norma bruna-rossastro, per la massiva presenza di tannini.
LA DOLINA BARATROIDE – Una volta risaliti dalla cisterna, invece di riprendere il sentiero che tende a San Pelagio,
è opportuno spostarsi dall’altra parte del tracciato per scendere nella profonda attigua depressione baratroide, visibilmente
asimmetrica (q. fondo 181,9 m). L’ambiente è infatti qui caratterizzato, ad ovest, da una parete strapiombante alla cui base s’insinua una marcata e larga fessura, dal profilo ellittico, che funge da opportuno riparo per la fauna circostante. Non presentando le sufficienti dimensioni, non è stata inserita nel Catasto speleologico. Sulle cenge e dalle nicchie del dirupo emergono rigogliose fronde di felci, fra le quali s’evidenziano quelle dell’umbrofilo polipodio sottile/Polypodium interjectum, tipico di margini di pozzi e voragini carsiche. Anche la vegetazione al suolo è caratteristica, annoverando una vasta gamma d’entità tipiche dell’umida ed ombrata flora dolinare.
Come premesso, la zona che s’irradia a SW di San Pelagio presenta anche numerose particolarità ipogee. Molto importanti sono le seguenti due, aprentesi nel cuore di campi solcati.
LA “GROTTA DELLE TORRI DI SAN PELAGIO” (1213 R/4205 VG) – L’attraente vacuo, che s’apre alla q. di 202 m in un’estesa pietraia, fu rilevata dapprima da M. Bussani (25.02.1963) e quindi da D. Marini e C. Cocevar (15.02.1970). La profondità è di 32 m con lo sviluppo planimetrico di 214 m.
Considerati i labirintici karren e le aguzze grize presenti nel tormentato ambiente, l’ingresso risulta di non agevole individuazione. La popolazione locale ne era, per contro, a perfetta conoscenza; ed infatti ne fanno fede, come spiega Dario Marini, alcune scritte risalenti al 1943 e 1944 rinvenute all’interno. Se ne può individuare addirittura una datata 1939, dovuta forse alla Società Triestina di
Speleologia. Sino agli Anni ’60 alla base del pozzo si poteva notare ciò che rimaneva di una rudimentale scala in legno, realizzata con cavi telefonici. La cavità è stata, probabilmente, un nascondiglio di partigiani, i quali s’eclissavano rapidamente nel sottosuolo durante i rastrellamenti. All’interno della grotta fanno bella mostra di sé alcuni poderosi gruppi colonnari e qualche pittoresco panneggio calcitico. La fotografia è tratta dall’Archivio della Commissione Grotte “E. Boegan”.
LA “GROTTA NATALE” (551 R/2743 VG) – Questa interessante cavità s’apre in una zona impervia, ricca di affioramenti. Come si apprende da Bruno Cosmini, il suo primo rilevatore, l’imboccatura venne individuata nel giorno di Natale del 1927 da alcuni giovani grottisti triestini. Questi collocarono nella grande caverna una targa in ottone, in seguito scomparsa, con i loro nomi. Sino agli Anni ’60 era presente, alla base di una stalagmite, una minuscola targa in marmo, rotta ed ormai illeggibile.
Purtroppo, fra i numerosi visitatori della cavità, molti non ebbero un rispettoso comportamento per cui, del ricco corredo concrezionale presente al momento della scoperta, sono rimaste in loco solamente alcune formazioni, impossibilitate ad essere asportate. La profondità della grotta è di 78,8 m, mentre lo sviluppo planimetrico è di 162 m. La foto è tratta dall’Archivio della “C.G.E.B”.
CALCINAIE – Soprattutto in passato, ed a ridosso delle cave, esistevano sul Carso triestino produttive attività artigianali che poi, con il trascorrere del tempo, si sono progressivamente estinte.
Fra queste, si rammenta l’antica procedura delle calcinaie che, oltre a procurare un efficace lavoro stagionale a molti abitanti dell’altipiano, favoriva sia il cospicuo spietramento dei terreni che la raccolta degli arbusti e, nel contempo, la conservazione del bosco. Custodita in fosse nel cortile di ogni casa, la calce serviva per l’edilizia (imbiancava edifici) e garantiva una salutare disinfestazione, anche in caso di epidemie di afta epizootica; era inoltre adatta pure per la zolfatura delle viti.
La tecnica prevedeva la cottura, anche per diverse settimane, di roccia calcarea a 900 °C entro tipici manufatti interrati nella dolina che, dopo l’uso, venivano di norma abbattuti. Interessanti vestigia di alcune calcinaie esistono tuttora proprio nella zona di San Pelagio (progetto di recupero della “Torre quadrangolare Kakes”) e nella vicina cava Zaccaria (fornace attiva nel 1950). Un’altra torre, in cemento, sorge tuttora a Trebiciano, inglobata ai margini di una dolina ubicata nel giardino di una villa in proprietà privata.
Ancora una volta il Carso triestino, palpitante alle spalle della città, si è dimostrato in questa plaga prodigo di splendide e poco conosciute singolarità.
Elio POLLI
Quote di iscrizione:
Soci CAI TAM/CRUT in regola con i rinnovi 2024: € 6 comprensiva della
ricognizione.
Non soci CAI TAM: € 10 + € 13 assicurazione obbligatoria soccorso alpino e
infortuni.
Utili i bastoncini, bevande.
Al termine dell’escursione di dirigeremo verso un fondo messo a disposizione
da Laura Potrata per consumare il nostro pranzo al sacco.
Benvenuto qualche dolcetto da condividere
IN CASO DI RINUNCIA LA QUOTA VERSATA NON SARÀ RESTITUITA.