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Villa Revoltella – La guida

La Villa Revoltella si trova in Via Carlo De Marchesetti a Trieste, nella zona definita un tempo “il Farneto”, il cui nome deriva dalla specie di quesrcia (Quercus frainetto) che vi si trova in abbondanza.

Villa Revoltella Trieste - mappa

mappa con legenda del Parco di Villa Revoltella

Il complesso della Villa comprende seguenti luoghi caratteristici:

  1. L’ingresso con la casa del guardiano del parco
  2. La chiesa con la cripta ed i laghetto antistante
  3. Le serre e l’antica casa del giardiniere
  4. La gloriette
  5. Lo chalet
  6. La casa parrocchiale con le vecchie scuderie
  7. IL Parco giochi con La scalinata di accesso e la statua di Pinocchio

Ai fini però di una visita più logica preferia­mo dividerla in tre zone coree si può vede­re sulla mappa sottostante.

La zona indicata con il numero uno è quella dell’ingresso, la chiesa, la gloriette, la casa parrocchiale, le antiche scuderie. Si può definire il cuore del complesso. Pasquale Revoltella ha costruito la Villa ed il parco per onorare la memoria della madre ed offrire a se stesso l’unico posto di riposo a cui anelava: a fianco della geni­trice.
La due è quella del barone nella sua veste pubblica, con la sua residenza chalet, e le serre.
La tre è quella “moderna”, della gradinata verso il parco giochi e la statua di Pinocchio. È il paradiso dei bimbi e dei loro accompagnatori.
Questa è Villa Revoltella, ora possiamo cominciare a conoscerla.

ZONA 1
Si vede chiaramente la posizione predomi­nante del tempio nel complesso del parco. Infatti fronteggia la strada di accesso, domina l’ingresso principale. Per tutti coloro che entrano nel parco, è La chiesa a dare il benvenuto.

aree parco di Villa Revoltella a Trieste

Di certo arriveremo con la nostra auto e la lasceremo posteggiata nel piazzale anti­stante l’ingresso della villa. Oppure, se vogliamo usufruire dei mezzi pubblici, la linea 2 5 ci potrà “sbarcare” poco prima o poco dopo l’entrata.
Questione di una cinquantina di metri.
l cancello aperto è il solito, quello vicino alla casetta del portiere. Gli altri due sono usati solamente in rare occasioni pubbli­che (qualche autorità o nome ben noto) o private (vedi matrimoni). Passato il cancel­lo di ferro alla nostra sinistra la casetta del portiere sembra una costruzione di fiaba, piccola, raccolta, appartata, benché posta in prima linea a controllare ogni movimen­to. Pochi passi e siamo nel parco.
Tra gli alberi a destra si vede senza man­carla la chiesetta. Sembra di buon auspicio cominciare da questo punto.
Tempo di girare un’aiuola ed eccola dinnanzi a noi.
Il laghetto che la fronteggia, è abitato da una ricca popolazione di pesci rossi e tar­tarughe. Un angolo in cui i più piccoli gri­dando di gioia vorrebbero quasi entrare in acqua per toccare quella ricchezza vivente. La chiesa è dinnanzi a noi. Sembra, nella sua veste macchiata dal tempo e le intem­perie, una persona in attesa. Le due scale laterali di accesso, simili a braccia aperte, racchiudono l’ingresso alla cripta.
Uno sguardo d’insieme alla costruzione. Lo sviluppo è a carattere verticale, tutto tende a salire verso l’alto e gli orchi corro­no lungo le linee di pietra del Carso fino lassù in cima alla cupola dove una croce di bronzo dorata contornata di spine brilla nel sole.

la Chiesa di Villa Revoltella - mappa e legenda

L’architetto praghese Giuseppe Kranner ha usato nel suo disegnò una commistione di stili architettonici vari spa­ziando dai romani ai bizantini (qualcuno, al momento della inaugurazione definì il tutto un’imitazione dello stile romanzesco del secolo dodicesimo). La direzione dei lavori fu affidata al triestino Ferdinando de Coll.
Il posto scelto è stato un piccolo massiccio elevato sul piano del giardino di tre metri. La costruzione così si lancia verso l’alto sino a toccare i 22 metri al culmine della croce. La lunghezza dalla terrazza anti­stante al retro è di 30 metri, mentre lo sviluppo in larghezza di 17 solamente. La costruzione viene così a formare un com­plesso a croce greca il cui braccio maggio­re comunica col vestibolo e si estende sino all’abside. Il centro è sormontato dalla cupola ottagonale, mentre ciascun lato esterno è diviso in tre archi. Su ogni lato dell’esterno, meno l’abside, presenta un occhio circolare chiuso da vetri istoriati a colori tenui.
Sulla parte frontale della costruzione c’è il campanile a vela (il castelletto) per le cam­pane.

Chiesa San Pasquale Baylon

mappa della Chiesa di San Pasquale Baylon e della cripta

Ogni visita deve iniziare dall’incontro con padrone di casa. Qui per incontrarlo dob­biamo dirigersi verso apertura chiusa da battenti in pesante metallo che si trova tra le due gradinate laterali; è l’accesso alla cripta. Possiamo accedere al suo interno da questo portale strombato da doppia nervatura ogivale che si conclude su due basse colonnine laterali.
Quattro gradini ci portano al livello della cripta vera e propria.
Non si tratta di qualcosa di rilevante o monumentale, ma di un semplice ambien­te nel quale ci troviamo immediatamente dinnanzi al dolore della Madre celeste e la pietà nella più classica delle forme. È un richiamo al dopo, al transito.
Quell’immagine ci aggancia subito lo sguardo, quel Dolore è il miglior lenimento a quello umano.
Anche le spoglie del fondatore e della madre di lui vengono avvolte prima ancora di vederle da quel corpo disteso sulle ginocchia materne.
Ora che il cuore e la mente si sono in un certo qual modo mondati dalla luce profa­na dei giorno umano possiamo volgere gli occhi attorno per scoprire riverenti il luogo di riposo del barone Revoltella.
L’ambiente a pianta quadrata è suddiviso in sei campate coperte a crociera, che sca­ricano al centro su due basse e pesanti colonne e lungo la muratura perimetrale su peducci infiorati. Strette feritoie a forte strombatura offrono un debole apporto di aria e luce all’ipogeo. ll pavimento a riqua­dri di marmo bianco e cinereo si intona al luogo. L’atmosfera non può non essere raccolta.
Qui riposano i resti mortali del barone Pasquale Revoltella e della madre Domenica. Il sarcofago di lei è sulla sini­stra mentre quello del figlio rimane sul lato destro.

cripta Revoltella

Le loro spoglie non giacciono sotto quei coperchi color del bronzo antico, semplici cenotafi, ma sono state inumate in tombe a forno nella parete di fondo.
Sull’altare, la pietà di color nero brunito è opera dello scultore viennese Francesco Bauer e fusa nel bronzo da W. Brose nel 1865.
Pochi altri arredi, tra cui candelabri e lam­pada pensile con figure simboliche dal più puro vocabolario gotico (dragoni). Qualche inginocchiatolo, delle panche, tutto aggiunto negli ultimi anni, come pure sulla sinistra quasi nascosta la statua di S. Rita. L’austerità dell’ambiente suscita un profondo senso di raccoglimento e indiriz­za i pensieri verso la caducità della vita e l’eternità dei sentimenti più veri.
Qualche pensiero per coloro che qui ripo­sano e che si offrono, in quella pace auste­ra alla preghiera del visitatori. Nell’ombra i lumini votivi stanno immoti.
Usciamo all’aria aperta e volgiamo il passo verso una delle scale laterali. Ascendiamo quei metri che portano alla loggia ed al vestibolo. Questo è formato da tre arcate a porzione di circolo, poggianti sopra colon­ne binate. l vani del vestibolo sono chiusi da vetrate. Lo spazio è decorato con tre affreschi di Mattia Trenkwald.
A sinistra entrando, San Giusto patrono principale della città.

tombe Revoltella

Il glorioso martire Giusto rifulse per virtù e vita fin da piccolo nel suolo tergestino

Il glorioso martire Giusto rifulse per virtù e vita fin da piccolo nel suolo tergestino

Travolto dalla persecuzione di Diocleziano,sotto il prefetto Manunzio, venne sottoposto al martirio per immersione nelle acque del golfo con una pietra legata al collo.
Una scritta posta sotto l’affresco ne ricorda le virtù.
Dall’altra parte dell’ingresso ecco un’altra figura del martirologio cittadino: San Servolo. Nel tentativo di farlo abiurare, sotto il prefetto Giunillo, venne sottoposto a flagellazione, aculei, raffi ed olio bollente. Fermo nella sua fede offrì il capo alla scure nel 284.
Anche per questa immagine un epitaffio lo ricorda ai fedeli:
“O Dio, ti supplichiamo devotamente affinché le preghiere di San Servolo siano sempre di aiuto ai triestini”.
Sotto ambedue le figure dei santi degli inginocchiatoi di pietra invitano alla preghiera. Sfortunatamente parte delle scritte è danneggiata dal tempo e dal vandalismo umano.

Sopra l’ingresso ecco l’Agnus Dei. La scritta posta alla sua base lo ricorda al visitatore. Tempo, vandalismi, infiltrazioni avevano ridotto molto male tutta l’area.
Solamente l’Agnus Dei si poteva considerare in buono stato.
Ora si può entrare nella chiesa. Il portone si apre su un colpo d’occhio completo della piccola costruzione.
Sulla facciata d’ingresso sopra l’architrave si trova l’immagine del busto del santo patrono e subito sotto la dedica della chiesa al suo nome.
(P. Revoltella eresse la chiesa in onore di S. Pasquale, suo patrono, con la cripta e tutti gli ornamenti – 1866).

Il sacro edificio ora si apre agli occhi del visitatore. Dinnazi a chi entra lo sguardo si posa sull’altare centrale sovrastato dalla dorata pittura dell’Ascensione di Cristo che si spande sulla volta dell’abside.
L’interno della chiesa è rivestito di alabastro egiziano riquadrato di cardiglio e rosso di Verona e decorato di affreschi. Il pavimento è di marmo a tre colori, spartiti e dimessi a disegno molto vago.
La chiesa fu completata nella sua costruzione ed arredi nel 1866, e consacrata dal vescovo Legat il 17 maggio 1867, la festa
del santo a cui fu dedicata S. Pasquale Baylon.
Aggiunti nel 2001 sono il nuovo altare, come da disposizioni liturgiche del Concilio Vaticano II, e l’ambone. A destra si
vede il crocefisso installato nel 1999, un bell’esempio di quell’arte religiosa che sboccia frequente nelle valli alpine.
La sedia dell’officiante, ed i scranni laterali nella zona dell’altare sono opere originali dell’epoca.
Qualche passo nella pace tranquilla dell’edificio e gli affreschi dei due bracci laterali si dispiegano sotto i nostri occhi. Opera di Domenico Fabris da Osoppo sono conosciuti con il nome di “Leggenda di San Pasquale”.
Riportano in una sene di scene i punti salienti della vita del santo. In origine sotto ognuno degli affreschi c’era una scritta in latino che ne ricordava | meriti principali e gli anni della nascita e morte.
Cancellate con della pittura ocra negli anni sessanta ora possono essere lette solamente nelle vecchie fotografie.

Affresco di sinistra. Si vede S Pasquale ancora pastore, che educa se stesso e gli altri, poi il momento dell’abbandono dei
genitori, il momento in cui riceve l’abito monacale entrando nel noviziato. Il Suo amore per il prossimo e la missione a
Parigi. La scritta cancellata con la pittura ocra diceva: Sanctus Pascalis a Baylon Gallus natus die XVII Mar MDXL. Bona terrena despiciens, coelestia quaesivit. (S. Pasquale da Baylon francese, nato il 17 Maggio 1540 Disprezzando i beni terreni
ricercò i celesti).

Affresco di destra. Qui si vede la benedizione di una famiglia bisognosa, il pericolo corso di essere lapidato, la sua predicazione presso gli Ugonotti sulla presenza di Gesù nell’Eucarestia, la sua condanna a morte e salvezza per concludersi con la sua infermità finale e morte. La scritta sotto questo affresco (anch’essa cancellata) diceva: Miles B Francisci errore pugnando devicit, legem et verbum Dei humilibus praedicans ad Deum redut die XVII Maii MDLXXXXII (Il soldato del Beato Francesco debellando l’errore e predicando la parola e la legge di Dio ai semplici, ritornò a Dio il 17 maggio 1592).
Su ciascun braccio laterale nella parte anteriore due statue poste negli anni sessanta alla formazione della parrocchia. A
destra quella della Madonna ed a sinistra di S. Eufemia.

Ora possiamo dare uno sguardo alla volta sopra di noi. La cupola con le sue stelle
dorate in campo azzurro blu si dispiega sul nostro capo. Nei pennacchi di questa quattro medaglioni con le immagini dei quattro dottori della chiesa (Sant’Ambrogio, San Girolamo, Sant’Agostino e San Gregorio Magno), opera del solito Trenkwald.
Sulle pareti invece, possiamo ammirare otto medaglioni con i busti dei Profeti.
Opera questa di Domenico Fabris da Osoppo.
Sotto questi dipinti, sopra il basamento di alabastro, che ricorre intorno a tutta la chiesa si leggevano rispettivamente i
seguenti motti:

Aron.
Tu autem, et fili tu custodite sacerdotium
(Tu poi, e 1 tuoi figli, custodite il sacerdozio)

Samuel
Dominus mortificat, et vivificat
(Il Signore umilia ed esalta)

David
Domine labia mea apenes
(O Signore, apri le mie labbra)

Malachias
Ecce ego mitto Angelum meum
(Ecco io mando il mio Angelo)

Ezechiel
Et auferam cor lapideum de carne eorum
(E rimuoverò dalla loro carne il cuore di pietra)

Ieremias
Idcirco ego plorans, et oculus meus deducens aquas
(Perciò io gemo, e il mio occhio si stempera nel pianto)

Isaias
Et egredietur virga de radice Jesse
(E spunterà un virgulto dalla radice di Jesse)

Moises
Initium sapientiae, timor Domini
(Principio di sapienza è il timor di Dio)

Le scritte come tante altre sono state cancellate da una non ben ragionata decisione nella metà del secolo scorso.
Le pitture ornamentali della chiesa sono del ticinese Abbondio Isella. Da notare tra queste una in particolare. Si tratta dell’unica rappresentazione dello Spirito Santo in tutto l’edificio. È localizzata al centro della volta tra l’abside e la cupola.
Ora davanti a noi il cuore dell’edificio sacro, l’abside con l’altare. Osserviamo con attenzione la prima.

Opera del Trenkwald, raffigura la salita al cielo di Gesù tra un corteggio di angeli alla presenza di Maria assisa su di una roccia da cui scaturiscono le sorgenti della redenzione.
Ai lati della Vergine si stagliano sul fondo d’oro le figure degli Apostoli “ad imitazione della scuola italiana del Quattrocento”.
Sotto in caratteri gotici si legge il Credo.

Altre cose da ricordare e vedere: un confessionale originale dell’epoca della fondazione sul lato sinistro appena entrati, mentre nel braccio di destra un organo di pregiata fattura viennese. Ambedue opera dell’Horbiger (Vienna) furono eseguiti,
come alcuni inginocchiatoi, dal maestro falegname Chieu, autore di diversi lavori in legno ed ebano nelle varie chiese triestine. Sotto l’abside, su di una bassa predella, ricco di marmi, ecco l’altare originale.
Le sue dimensioni sono metri 2,43 x 1,18 x 1,84.
La mensa, sostenuta da due esili colonne con base a capitello, secondo il gusto degli stili storici, si accosta a un postergale in cui si apre il tabernacolo rettangolare affiancato da una serie di sei arcatelle a pieno centro su eleganti colonnine.
Queste incorniciano altrettante formelle metalliche (41 x 18 cm), recanti su sfondo smalto figure di Angeli con strumenti della passione: sulla porticina bronzea del tabernacolo (50 x 37 cm) é incisa l’immagine del buon pastore. Sopra questo si erge, quasi a coronamento dell’opera, un piccolo ciborio in forme neogotiche per l’esposizione eucaristica. L’altare, come gli altri lavori interni da scalpellino, furono eseguiti dal lombardo Bottinelli, il quale usò, a detta del contemporanei, “con proprietà” il marmo di Carrara, l’alabastro egiziano come pure il porfido e verde antico.
La visita alla chiesa si può dire conclusa, ora ci aspetta l’esterno dove il parco con suoi ampi spazi e particolari scorci di panorama legano le Villa alla città.

Ma prima di volgere | nostri passi verso il verde ed il mormorio dell’acqua, non possiamo non essere tentati di un ultimo pensiero ed alcune considerazioni su quanto visto sinora. È qualcosa di troppo comune per credere di esserne esenti. È una specie di sosta dell’anima. Una pausa del cuore tra le bellezze della natura. Perché non fare quest’ultimo pensiero, perché
non ascoltare le considerazioni che senzaltro abbiamo tratto?
Ecco allora, per tutti coloro che ne sentono il bisogno, una piccola introspezione dell’anima. Se è questo che sentite, basta scorrere le frasi qui sotto. Se invece il richiamo degli spazi non vi lascia “volare” un po’ più in alto, è sufficiente muoversi da questo punto e riprendere il cammino nel parco.

Una sosta per l’anima fra i dipinti e le immagini della chiesa di S. Pasquale Baylon.

Non si puo’ non essere stati colpiti dal passaggio avvenuto dalla penombra esistente nella cripta all’azzurro conclamato del
cielo stellato della cupola.
Due estremi» la corruzione e lo spazio infinito.
Tra questi due estremi si svolge la storia dell’uomo e dell’uomo credente. Tra i due estremi si svolge la stona della salvezza che sfocia nella certezza che dal dolore l’uomo per grazia, approda ad una vita trasformata e salvata.
Ecco allora il tentativo di dare una risposta unitaria al perché degli affreschi scelti per questo edificio “memoriale”. Facciamo un passo indietro, iniziamo dalle tombe poste nella cripta. In mezzo ad esse l’immagine del dolore che redime: Gesu’ deposto dalla Croce sulle ginocchia dell’Addolorata, in color nero che allude al lutto. Davanti ad essa una piccola lampada sempre accesa che richiama la speranza e la vita.
Il luogo, piccolo e basso, invita al silenzio. Le due grosse colonne che paiono sostenere tutto l’edificio, sembrano dire che sul dolore e la morte dell’uomo, uniti a quelli del Cristo, viene fondata la vita ed ogni progetto umano.
Salite le scale della chiesa, sopra lo stipite della porta d’ingresso, l’agnello immolato, ma con i segni della vittoria sulla morte.
Entriamo e subito ci appare sull’abside, con sfondo oro, la figura del Cristo asceso al cielo con il suo corpo tra gli angeli adoranti. Già questo vuol dire al visitatore riflessivo come dolore e morte non siano fine a se stessi ma via alla gloria.
Pure Maria, carica di dolore nella Pieta’ del sacello, ora, qui, appare , onorata, sotto la figura del Cristo. Attraverso di lei Egli effonde le sue benedizioni agli uomini, rappresentate da quelle sorgenti che fuoriescono ai piedi della Vergine.
Tra questi altri due estremi si svolge la storia della salvezza alla quale ogni uomo è invitato a far parte in modo attivo.
In alto, ai lati dell’entrata, sono rappresentati Mosè, tramite il quale Dio ha dato al suo popolo la legge e la liberazione dalla schiavitù, ed Aronne, sacerdote di Dio.
Sempre in alto sulle pareti le figure dei profeti Geremia, Isaia, Ezechiele e Malachia con i simboli della loro testimonianza.
Uomini che hanno formato il popolo ebraico mantenendolo in comunione con Dio. | profeti sono riportati in ordine di tempo
fino agli ultimi due prima di Cristo, raffigurati sulle pareti del presbiterio, vicino agli apostoli posti a corona alla Vergine e al Cristo.
In qualche modo essi preparano la strada al popolo della nuova alleanza, di cui i dodici sono i primi destinatari e fondamento. Per questo le figure degli Apostoli sono centrali e messe in uno spazio unitario con il Cristo glorificato e la Vergine, come centrali sono nel mistero della Chiesa.

Quindi entriamo nella storia dopo Cristo, nella storia della chiesa. Infatti nei pennacchi sotto la cupola abbiamo quattro dottorì della chiesa dei primi secoli dell’esperienza cristiana, persone che hanno dato una continuita’ e una solidita’ alla comunita’ dei credenti del loro tempo e di tutti i tempi: S. Gregorio Magno papa, S. Agostino, S. Ambrogio, S. Girolamo. Tutti con le insegne del loro servizio. Sono messi su quei quattro punti come solidi sostegni e via al cielo. Ma tutto questo anche se importante e fondamentale come proposta al visitatore che vuole trovare senso unitario alla sua esistenza rapportata a queste immagini, appare ancora lontano e non coinvolgente.
Ecco allora questo “evangelium pauperum” sotto forma di immagini e di segni che si fa esemplificazione, quasi attuazione, negli affreschi della vita di S. Pasquale sulle pareti di destra e sinistra. Grandi, piu’ grandi e piu’ vicine di quelle sull’abside, ma meno ricche, piu’ feriali.
San Pasquale che, povero pastore, vuole donarsi a Dio nella vite consacrata, egli che accoglie i poveri, i piccoli sulla porta del convento. Ed ancora lui in missione tra gli ugonotti nel tentativo di riportarli sulla giusta via, perseguitato per la sua devozione all’eucarestia. Ed infine la morte serena nell’ultima scena del dipinti. Sopra l’architrave di ingresso alla chiesa, nel suo interno, il santo glorificato proprio in corrispondenza di quell’agnello con i segni di vittoria che appare sul lato esterno.
Un disegno armonioso che puo’ dare, al visitatore disponibile, luce sui grandi interrogativi dell’esistenza umana. Una luce
che non viene dall’uomo, ma dall’alto e meritevole di essere accolta. Come potrebbe dirci quella luce che, dar tre rosoni, illumina tutto lo spazio e con questo la storia degli uomini.
La visione nel suo insieme dice in modo chiaro di non fermarci sconsolati tra le tombe, nel dolore e nella morte. In egual
modo non dobbiamo rimanere a contemplare il cielo troppo in alto, la cupola stellata, ma dobbiamo vivere la nostra storia
piantata nella sofferenza e proiettarla in una vita che non finisce. Far si che essa diventi santa, sacra. Diventi traccia di Dio, quel Dio che ci ha creati e salvati in Gesu’ ed al quale dobbiamo lode..
L’edificio con i suoi affreschi e’ immerso nel verde del parco, come in un alone che favorisce il silenzio e la distensione.
Questo quadro puo’ disporre il visitatore alla contemplazione ed all’ascolto di tutta questa realta’, parte della sua vita, e che, portandolo oltre, puo’ dargli senso. Lo da’ di certo al visitatore credente come lo ha dato sicuramente al Barone nel magnifico ricordo della madre Domenica.

Non occorre andare per un giro turistico guidato, conosciuto il “padrone di casa”, fatto una visita a Colui che nella vita del barone ha avuto un peso decisivo, possiamo lasciarci portare dal nostri passi infilando uno qualsiasi dei vialetti che si dipartono dalla chiesa. Per comodità di esposizione, noi continueremo a visitare altri posti della zona in cui ci troviamo.
Ecco sulla nostra sinistra, appena scesi dalla chiesa, tra il verde degli arbusti s’intravvede una bianca costruzione.
L’avevamo di certo notata arrivando dalla città. È la gloriette che si alza sull’angolo della villa alla confluenza di via dei Pellegrini con la via de Marchesetti.
Una costruzione in pietra bianca del Carso che sembra sollevarsi sulle sue esili colonne dal verde circostante. Un angolo che nel silenzio del parco riesce ad escludere il rumore del traffico che romba a pochi metri da essa. Una piccola zona usata a volte per dei concerti di musica locale.
Sotto la sua leggera cupola litea sembra ancora riecchieggiare le parole di uomini e
donne che in visita al Barone si affacciavano per dare uno sguardo al panorama intorno.

Basta voltarsi un po’ ed ecco fra gli alberi spuntare il rosso muro di un’altra costruzione È quella che oggi viene comunemente e semplicemente chiamata la casa parrocchiale. Una volta era conosciuta con il nome di Cappellania, Fu voluta espressamente dal Barone per poter offrire agli abitanti della zona un’assistenza religiosa e sociale essendo dall’inizio destinata a scuola e ad abitazione di un sacerdote. La sua locazione attuale è su terreno non previsto in origine come propietà della Villa.
Il barone Revoltella chiese di avere un pezzo ulteriore di terreno anche per correggere i limiti della proprietà. Le autorità accolsero la sua richiesta ed il suolo gli fu concesso gratuitamente perché “lo scopo filantropico al quale desso fa erigere quell’edificio – cioè per uso di Cappellania e Scuola a beneficio della popolazione locale”. La nuova casa veniva a disporsi in senso ortogonale alla già eretta scuderia (1858-59), cui si appoggiava con uno dei suoi lati minori.
“Per questo progetto Bruni e Coretti predilessero il linguaggio semplice e funzionale del Randbogenstil, giocato sulla bicromia delle profilature in pietra branca di pilastri, riquadri e cornici a linee spezzate che, irrìgidendo la volumetria orizzontale della costruzione, ne alleggerisce al tempo stesso la consistenza per mezzo della nettezza quasi intagliata dei particolari e la modulare iterazione di alcuni dettagli.” (da un libretto dell’epoca)
È interessante notare come questo semplice e dignitoso progetto sia stato prescelto a quello elaborato da Enrico Holzner già
nel 1859 – forse su richiesta dello stesso Revoltella – che alla rastremazione espressiva dell’edificio poi realizzato, oppone una ricchezza formale di gusto tipicamente gotico (CMSA, inv. n. 10/3199).
Alla casa parrocchiale si accede normalmente dalla via dei Pellegrini. Addossata a questa costruzione in posizione ortoganale si alza una costruzione più bassa dello stesso tipo, quelle che una volta erano le scuderie padronali (come detto sopra).
Oggi sonoin gran parte usate come deposito di attrezzi per la manutenzione del parco o abbandonate. Tra le scuderie e la
chiesa la vera di un vecchio pozzo e l’inizio dell’ampia gradinata che porta alla parte più ricercata ed ambita dai bimbi: il parco giochi. Con le scuderie possiamo considerare d’aver conosciuto ogni angolo della zona indicata con il numero 1. Passando alle spalle della chiesa prendiamo il viale che si apre dinnanzi a noi e seguiamolo.
Dopo un po’ apparirà alla nostra sinistra sul fondo l’ingresso del parco.
Continuiamo lungo il viale che si apre sempre dinnanzi ai nostri occhi. Siamo contornati da alberi secolari. L’aria è calma e l’animo non può non adagiarsi su pensieri in tono con un simile ambiente. Stiamo per entrare nella zona 2. Pochi passi ed arriviamo ad un crocicchio. Due sono i viali che si aprono dinnanzi, uno, quello a destra va allo chalet, l’altro continua verso il nostro prossimo angolo da visitare.

ZONA 2
LE SERRE

In una pubblicazione di origine celebrativa si riporta come al proprietario stessero molto a cuore le piante, che mandava alle esposizioni di fiori triestine dove vinsero molte medaglie. La coltivazione di piante, soprattutto quelle esotiche, era molto di moda in quegli anni; coniugava il fascino dell’esotico con la sperimentazione e l’uso di nuove tecniche. Era stato trovato il modo di importare via mare le piante esotiche trasportandole in cassette appositamente costruite e si affermavano dovunque le serre di vetro e ghisa per la coltivazione. Alle esposizioni universali c’era sempre una sezione dedicata alla floricoltura. Del resto la prima Esposizione Universale, a Londra nel 1851, aveva visto come artefice della sua sede, il Crystal Palace, proprio un architetto che nasceva botanico. Joseph Paxton fu Infatti capo giardiniere del duca di Devonshire dal 1826 al 1858 e da questa sua attività nacque l’attenzione per la costruzione di nuovi modelli di serre.

Il barone si fece costruire dal “suo” Stabilimento tecnico triestino la grande serra di ghisa e vetro che esiste ancora oggi.
Nella pubblicazione del secolo scorso, dalla quale abbiamo già riportato dei passi, si parla di ben quattro serre distinte
chiamate, la “Serra dei fiori”, la “Serra calda”, l’ “Aranciera”, e la “Serra degli Ananassi”. Se il giardino in qualche modo visse dopo la scomparsa del suo creatore, non le serre, che con il passar del tempo divennero sempre più angoli desueti sino a trasformarsi in resti archeologici di un tempo perduto.
Solamente con il finire del secolo XX le autorità cittadine presero la decisione di ridare lustro ad una parte saliente della Villa. Le serre sono state ristrutturate e preparate a ripresentarsi ai triestini come un tempo, anche se con scopi diversi.

Nell’ articolo d’un giornale locale del gennaio 2001 si può leggere: “… Ma ritornando alla serra, come ha detto anche l’architetto del Comune, questa verrà usata come luogo deputato a mostre di vario tipo… L’intervento, seguito passo passo
anche e dalla Soprintendenza ai Beni architettonici, ha valorizzato l’architettura del sito. Nella ristrutturazione si sono
recuperate tutte le strutture in ferro originarie con limitate integrazioni in ghisa per alcune parti mancanti. Si è rifatta la pavimentazione, restaurata la fontana in pietra, che ora fa bella mostra di sé ..” La struttura è anche dotata di un impianto di ventilazione, di riscaldamento e tra breve verrà creato anche un sistema per il condizionamento, necessario per usufruire del sito nei mesi estivi, |l tutto è valorizzato da un sapiente studio di luci, che formano una doppia illuminazione: interna ed esterna, che partendo dal basso fomisce una visione notturna, quasi magica del parco…”

Il risultato di quei progetti ed idee sta ora dinnanzi al nostro sguardo. Quale differenza da pochi anni fa. La struttura è completamente rifatta tenendo conto delle sue esigenze d’origine.

Vicino a noi, opposta alla struttura rinnovata, si apre ai nostri occhi un angolo particolare del parco. È la zona chiamata del giardino all’italiana. Simbolo di quella ricercatezza e preziosità che animava una certa borghesia triestina della seconda metà dell’ottocento (in data odierna si trova recintato per manutenzione).
Continuiamo il nostro vagabondare per il sentiero che costeggia il muro di recinzione. Oltre di esso le case degli uomini d’oggi, il borgo di S. Eufemia creato nei primi anni sessanta con le famiglie dell’esodo istriano. Un nucleo che ben presto si estese tanto da far prendere in considerazione alla diocesi la formazione di una nuova parrocchia: quella di s. Pasquale Baylon.
La parte che stiamo attraversando è decisamente più naturale e selvaggia. In fondo troviamo i resti di quella che una volta era la casa del giardiniere.
Porte e finestre sventrate e completamente esposte alle intemperie parlano del trascorrere del tempo e della dimenticanza
degli uomini.
Ma la tristezza tra gli alberi e gli arbusti verdì del parco non è concessa. Ne prendiamo atto e volgiamo il passo verso quella che fu considerata la residenza esterna del Barone e che per molti anni fu anche quella estiva del sindaco di Trieste.

LO CHALET

Dopo il 1860 i| barone Pasquale Revoltella fece costruire la sua bella villa a tipo di chalet, circondandola con un giardino
sempre curato e ricco di piante e fiori.
La villa venne costruita dall’ingegner Sforzi su progetto dell’architetto berlinese Fniederich Hitzig.
La costruzione è semplice e si comprende il perché.
La si è voluto inserire nel parco senza stonare con esso, ma armonizzandola con l’ambiente naturale. Uno spiazzo circolare
la fronteeggia con una piccola vasca e fontana.
Ai quattro angoli di questa, le statue delle quattro stagioni, più volte deturpate e mutilate dai soliti vandali.
Dinnanzi ai nostri occhi il panorama è quello della città che mai ci abbandonerà ogni qualvolta percorreremo il vialetto che
costeggia il limite meridionale della proprietà.
La sosta su questo piazzale è quasi sempre scaldata dal sole e gli occhi si deliziano nei colori del verde delle piante, l’azzurro dell’acqua e del cielo, il rosso e giallo dello chalet.

Un angolo preferito molte volte da madri o nonni con pargoli in carrozzella. | piccoli che non sentono ancora il richiamo
dei giochi all’ana aperta.
Il parco però nel suo divenire ha pensato anche a quella schiera di giovanetti più o meno in età che ostacolati dai muri di
appartamenti cittadini cercano spazi più ampi nei quali sfogare la loro esuberanza.
Basterà prendere uno dei sentieri che si dipartono dallo chalet, scendere verso quello principale lungo il perimetro sud e
saremo pronti ad entrare nella terza area della Villa.
Quella indicata con îl numero 3, quella sempre cercata dai giovani, sempre piena di risa e grida.

ZONA 3
IL PARCO GIOCHI

Questo non era previsto nei disegni originali del Barone, ma come detto, nello trascorrrere del tempo, il dono fatto alla città si è adattato alle esigenze del tempi e della gente aprendo una parte del suo spazio alla popolazione più giovane.
La trasformazione è stata sempre gradita e tra coloro su cul l’età non ha significato, la Villa è divenuta sinonimo di svago e divertimento.
È la parte più frequentata, più viva e chiassosa, quella in cui il futuro sboccia dal passato. Pista per il pattinaggio, campo di basket, piccole giostre ed altalene sono a disposizione di quelli che vogliono sfogare l’esuberanza giovanile. E sono i visitatori che normalmente evitando ogni altra parte prendono la direzione della gradinata che dalla chiesa porta direttamente a questa zona.
Ci sono posti all’ombra di altane che nella stagione estiva si coprono di foglie e fiori.
Piccoli angoli in cui il genitore può sostare mentre i figlioli giocano poco lontano. Là tra quei piacere di vivere si è voluto inserire una scultura in bronzo.
Quella della statua dell’eroe di Collodi, Pinocchio. In ginocchio su di una roccia guarda giù nella vasca sottostante forse a cercare la faccia del ragazzino nascosto in lui.
È il simbolo del gioco, dell’amore per lo svago. Guardiamolo attentamente e perdiamoci in quello sguardo.
Il nostro tempo ormai volge al termine. È il momento di tornare in città. Ci stacchiamo da questo piccolo angolo di pace e tranquitlità con un certo mmpianto. Certo potremo sempre tornarci, ma ad ogni distacco ci sarà un pò di malinconia.
Prendiamo a salire la scalinata che ci porta verso l’alto, verso quell’ingresso da cui una campanella suonando ci avvisa che il parco chiude.

Un ultimo sguardo attorno e ci ricordiamo di qualche angolo dinnanzi al quale siamo passati forse troppo velocemente.
Posticini tranquilli dove ci saremmo potuti fermare anche solamente per gustare il silenzio della natura.
Sì, di angoli così la Villa ne è piena, sarà per una prossima volta, ce lo ripromettiamo.
Villa Revoltella non si muove, attende sempre qualcuno che la venga a trovare.
Ecco laggiù la casa del guardiano, il portone di ferro, siamo arrivati all’uscita.

Ma non finisce qui, perché molto presto aggiungeremo un reportage fotografico recente, del Parco e tutto ciò che contiene.

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