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Storia: la Jugoslavia di Tito osannata dalle potenze europee come argine all’Unione Sovietica

I serbi, la piccola nazione slavo-balcanica, a suoi tempi lodata, osannata, incoraggiata, protetta ed aiutata a turno dalle principali grandi potenze europee e mondiali non viene più così apprezzata, anzi, essa viene criticata, incolpata e biasimata da tutte le parti direttamente o meno interessate, in primo luogo dagli ex-sostenitori, amici ed alleati.

Da dove deriva tale improviso cambiamento e quali sono le cause e ragioni dello stesso? Trattasi, forse, di principi etici e morali, di interessi, oppure di egoismo statale, di ignoranza?

A suo tempo, verso la metà del XIV secolo, quando l’Imperatore serbo Stefan-Dusan si preparava a sostituire e rafforzare il Bisanzio per opporsi alle susseguenti, incalzanti ondate d’invasione turche dell’Europa, gli stessi regnanti cristiani europei chiamavano il medesimo Dusan “Fratello sublime” mentre i Papi di Roma e di Avignon gli mandavano benedizioni ed auguri, perchè: “Capitano ilustrissimo”.

Due secoli più tardi, per fermare la marea turca davanti le porte di Vienna e per poter passare all’efficiente controffensiva cristiana, intesa a ricacciare i turchi verso i paesi di partenza, gli Imperatori d’Austria fecero spesso leva sulle popolazioni confinarie slave; composte maggiormente dai serbi, concendendo a questi ultimi più svariati privilegi, con posti di rilievo e ruoli di primo piano nelle milizie austro-ungariche impegnate in interminabili guerriglie contro i turchi.

In seguito, gli Zar di tutte le Russie nelle loro guerre balcaniche, promosse per realizzare lo sbocco ai mari caldi e per la sognata conquista di Costantinopoli (ma giustificate con il presunto dovere di proteggere le etnie slavo-cristiane sofferenti sotto la secolare occupazione turca) fecero spesso leva sulle popolazioni slave dei Balcani, in primo luogo su quelle di religione ortodossa, precisamente sui bulgari e serbi.

In compenso, questi ultimi, oltre dei modesti aiuti militari, ricevevano dalla Russia una simbolica protezione politica e godevano il diritto d’asilo. La Prima guerra mondiale è formalmente scoppiata in seguito all’assassinio, nel 1914 a Sarajevo, del Duca Francesco Ferdinando e della sua consorte, e causa del rifiuto dell’ultimatum del Governo austriaco alla Serbia.

Però, le vere ragioni che hanno causato e fatto maturare la stessa guerra era la polarizzazione delle grandi potenze europee e il conflitto dei loro interessi economici ed espansionistici, tutto acutizzato con il grandomanico slogan tedesco di “Drang nach Osten” (Puntare verso l’Est), al quale si sono opposte le altre potenze imperialiste europee, Russia compresa.

Siccome la Serbia si trovava proprio sulla strada di tale espansione germanica, il popolo serbo fu il regno del male per gli uni e il baluardo della resistenza e la libertà contro le barbarie, per gli altri.

Una cosa simile è successa in occasione della Seconda guerra mondiale, con la differenza che le potenze “libertarie” non furono più la Russia zarista e la Francia, ma l’Inghilterra conservativista e l’Unione sovietica, comunista. E il popolo serbo, questa volta nell’edizione jugoslava, diventò il baluardo della resistenza contro la tiranide.

Restano ancora in memoria le famosi parole di Churchil, nel commentare il putch belgradese del marzo 1941 contro il Patto tripartito,: “La Yugoslavia ha trovato la sua anima”. Nel secondo dopoguerra il regime di Tito, istaurato benevolmente da tutti gli Alleati, fu in seguito non soltanto tollerato ma anche lodato, apprezzato ed aiutato dalle grandi potenze vincitrici, particolarmente da quelle “democratiche”; da queste ultime, in ispecial modo dopo il dissenso e la rottura verificatasi fra la Jugoslavia Federativa e l’Unione sovietica.

Per diversi decenni la posizione “scismatica” della Jugoslavia di Tito fu strumentalizzata dalle grandi democrazie per arginare e destabilizzare “l’impero del male” sovietico.

Il sostegno, con foraggiamento finanziario e militare del regime del “ribelle” Tito, ha costato alle potenze capitalistiche occidentali, in particolar misura gli Stati Uniti, moltissimi miliardi. Successivamente, dopo l’abbattimento del muro di Berlino e l’auto-disfacimento dell’Unione sovietica, la Jugoslavia titina sembra che non servisse più a nessuno, ed ancora meno alla Serbia. Quest’ultima, perciò, viene sanzionata, demonizzata e ridotta a minimi termini e spazio. I serbi capiranno poi un insegnamento della storia, cioè di non lasciarsi esporre all’estremo sacrificio per gli interessi e la propaganda altrui. Ma che non sia troppo tardi, perché nel frattempo, con il rafforzamento delle sanzioni e l’eventuale uso dei mezzi militari una piccola e valida nazione balcanica potrebbe essere completamente annientata, tanto per le sue colpe quanto per quelle degli attuali grandi protagonisti della storia europea.

Esaminando varie risultanze di carattere storico, demografico, culturale ed anche biologico e, non ultimo, psicologico, si potrebbe liberatamente affermare che in Bosnia ed Herzegovina non si combattè fra serbi da una parte e Musulmani dall’altra, ma che effettivamente ivi lottarono fra di loro i serbi ortodossi, i serbi cattolici ed i serbi musulmani, mentre soffrono gli abitanti tutti quanti, sia quelli che vengono chiamati serbi, sia croati, sia Musulmani; sembrerebbe come se tutti loro fossero tuttora considerati scismatici “bogomili”, condanati a essere annientati in seguito ad una maledizione medievale.

Sembra che il “meridiano di Diocleziano”, cioè la linea geografica tracciata a suo tempo, per ordine dell’Imperatore Diocleziano, quale linea di demarcazione fra l’Impero romano di Occidente e quello dell’Oriente, resti tuttora valida e che essa oggi venga nuovamente ristabilita e rafforzata con il disfacimento della Jugoslavia e la creazione dei nuovi piccoli stati, dei quali i tre, la Slovenia, la Croazia e la Bosnia-Herzegovina, entrano nella sfera dell’Occidente, mentre gli altri tre, la Serbia, il Montenegro e la Macedonia, con qualche zona ancora “grigia” dei Balcani, finiscono nuovamente all’Oriente, questa volta non a Bisanzio ma alla Russia.

Dopo il conflitto scoppiato fra i serbi balcanici, caratterizzato dalla cessazione di sostegno ed ogni rapporto politico, economico e militare, dichiarata dalla Federazione jugoslava (Serbia e Montenegro) nei confronti della Repubblica serba di Bosnia, in guerra civile contro il governo centrale guidato dai Musulmani di Sarajevo, sembra che il famoso moto derivante dalle “quattro S” dello stemma tradizionale serbo, che dovrebbero simboleggiare lo slogan: “Solo la concordia (sloga) salva i serbi”, subirà neccessariamente qualche variazione. Sostituendo la parola “concordia” (sloga), con altre parole, che incominciano con la “s”, per esempio: “sada” (ora); “sabljom” (con la spada); “sekirom” (con l’ascia); “srpom” (con la falce); “sankcijama” (con le sanzioni); “surovo” (crudelmente), vengono fuori dei slogan ben diversi, ciò che è da aspettare anche nella realtà. Comunque, i nemici tradizionali ed occasionali dei serbi hanno con il suddetto evento segnato un importante punto a proprio favore.

Durante tutto il corso del smembramento della Jugoslavia e specialmente in occasione della guerra civile in Bosnia e dei relativi interventi delle Nazioni Unite e l’Unione europea, prima tramite il binomio Owen-Wance e poi del cosidetto “Gruppo contato di cinque” e dell’annunciazione della loro proposta del piano di divisione e di pace in Bosnia, tutti i serbi in generale, particolarmente quelli di Bosnia, si aspettavano di ricevere sostanziali appoggi dalla Russia, tradizionale alleata ed asserita protetrice dei serbi.

Tale sostegno, però, è venuto effettivamente a mancare. Anzi, sono stati proprio i rappresentanti della Russia di Jeljcin che hanno apertamente sostenuto le tesi degli alleati occidentali e del loro piano di spartizione e di pace, favorevole al governo centrale, mussulmano, di Bosnia unitaria. Di conseguenza, una grande maggioranza dei serbi, di tutte le regioni balcaniche, di varie estrazioni e correnti politiche, ha subito una vera delusione, una sensazione di tradimento da parte della grande “madre slava”. Però, pensandoci bene ed esaminando la storia dei rapporti russo-serbi dobbiamo concludere che la Russia di Jeljcin e di Kozirev ha questa volta agito in conformità alla sua secolare politica imperiale, badando, in primo luogo, ai propri interessi politici, economici e militari, senza tener troppo conto di certi sentimentalismi retorici panslavisti.

Infatti, non è la prima volta nella storia che i Russi si sono lavati le mani dal destino degli Slavi del Sud, in primo luogo dei serbi; Una cosa simile è successa ai primi del secolo scorso, in occasione della Prima riscossa serba, guidata da Karagiorgio, contro i turchi, poi in occasione delle due guerre serbo-turche, sfocciate nella pace russo-turca firmata a Santo Stefano. Infatti, i russi erano nel passato sempre guidati dai loro interessi imperiali e dal sogno di conquistare Costantinopoli ed avere lo sbocco al Mediterraneo, attraverso la Grande Bulgaria ed eventualmente la Grecia ortodossa. Gli altri “piccoli” popoli balcanici, come serbi, croati, bosniaci, montenegrini, albanesi e macedoni contavano per i russi relativamente poco e soltanto in quanto servivano alla politica imperiale dello stato moscovita. Lo stesso dicasi anche per l’Unione sovietica. L’unica eccezione a tale regola fu compiuta dall’ultimo Zar Nicola II, quando, per difendere il principio della sovranità della piccola Serbia, minacciata di annientamento, egli dichiarò nel 1914 la guerra alle Potenze centrali, l’Austria e la Germania. E tale dichiarazione di guerra fu proprio fatale per lui e la famiglia.

Uno dei fenomeni di carattere demografico manifestatosi pienamente nel corso dello sciagurato conflitto bellicoso interetnico nei Balcani e che trae le sue lontane ma dirette origini dal “Grande scisma” cristiano e dallo susseguente millenario “incrocio” delle relative tendenze ecclesiastiche, è, senz’altro, la presente e quasi totale identificazione nazionale con quella confessionale, giunta ultimamente agli estremi in Bosnia ed Herzegovina. In un saggio storico intitolato “L’unitarismo jugoslavo” e pubblicato nel 1982 a Trieste, è stato posto l’accento sull’errata e pericolosa affermazione della suddetta identificazione. Attualmente, la Jugoslavia come stato unitario, non esiste più; però alcuni postulati, potrebbero trovare una certa validità nel futuro dei popoli balcanici, di quelli dell’estrazione slava in primo luogo

Un altro fenomeno globale che si manifesta nell’attuale politica mondiale, in primo luogo in quella europea, sarebbe la tendenza verso il ritorno non tanto al passato stesso quanto alla restaurazione delle formazioni geo-politiche ed statali-amministrative, per non dire imperiali, delle epoche passate.

Ritenendo che per la creazione della Jugoslavia dovevano esserci dei reali presupposti e validi motivi, dobbiamo pure ammettere che anche il suo dissolvimento è stato causato, anche se non giustificato, quanto dalla mutata situazione esterna, cioè della politica mondiale, tanto dalla crisi interetnica e morale, interna. I positivi motivi storici, etnici, sentimentali ed economici, che nel passato hanno preparato ed indotto i popoli slavi del Sud ad unirsi, erano e sono, nonostante tutto, più validi di quelli negativi, che poi sono sfociati nella tragedia.

La secessione delle repubbliche di Slovenia e di Croazia da quella federativa della Jugoslavia, plebiscitariamente sostenuta da parte delle popolazioni interessate, potrebbe apparire, oppure di venire interpretata come una fattiva, estrema e definitiva negazione dell’idea jugoslava e del relativo unitarismo, tutto in favore del particolarismo plurinazionale e delle derivanti indipendenze statali. In special modo, c’è stata la Croazia che si distinse, non soltanto in quest’ultima occasione ma anche prima, durante il Regno della Jugoslavia, per le sue tendenze secessionistiche, orientate verso l’indipendenza statale ed in contrapposizione al regime centralista di Belgrado. Di conseguenza, si potrebbe concludere che la Croazia fosse la principale ed assoluta negatrice dell’idea e del concetto della Jugoslavia e del suo ragione d’essere. Ma da un obiettivo esame storico risulta proprio diversamente.

Infatti, l’idea della Jugoslavia, come unione degli Slavi del Sud, è sorta a suo tempo fra i croati e serbi della Croazia, piuttosto che fra i serbi della Serbia e delle altre regioni balcaniche. Inoltre, la stessa idea ha trovato i suoi protagonisti prima fra gli intellettuali croati che fra quelli serbi. Il “Movimento illirico”, quale precursore del jugoslavismo, è sorto in Croazia già nella prima metà del 1800 ed i suoi fondatori, Ljudevit Gaj, Franjo Racki, l’Arcivescovo Strossmajer, il Conte J. Draskovic ecc. furono tutti di nazionalità croata. Tale movimento ha fortemente contribuito alla creazione di una consistente solidarietà culturale e politica fra i croati e serbi, sudditi dell’Austroungheria, (per sfociare in seguito nella costituzione del partito politico denominato la “Coalizione serbo-croata”) e la cooperazione militare che si è manifestata in occasione della rivoluzione ungherese del 1848 e della ribellione croata di Rakoviza, nel 1870. Nei primi anni di questo secolo l’idea jugoslava, sostenuta da elementi croati, ha segnato un’ulteriore processo di intensificazione e precisamente con la proclamazione del “Programma di Lubiana” del 1870 e le due “Risoluzioni” dei prominenti intellettuali croati e sloveni, riunitisi nel 1905 a Fiume e nel 1906 a Zara; Un ulteriore segno del genere si è avuto nel corso dello svolgimento del cosidetto “processo Friedjung” contro i “traditori” serbo-croati, tenutosi a Zagabria nel 1908. Ma le prove più tangibili del jugoslavismo, offerte dagli uomini politici ed intelletuali croati e sloveni, si sono avute durante la Prima guerra mondiale con la costituzione a Londra, nel 1915, del “Comitato jugoslavo”, con la “Dichiarazione di Corfù”, nel 1917, con la proclamazione a Zagabria, nell’ottobre del 1918, dello Stato dei Serbi, Croati e Sloveni e l’unificazione, nel dicembre dello stesso anno a Belgrado, del medesimo Stato con la Serbia e Montenegro in Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.

(Problemi balcanici – Loro origini ed effetti / Carlo Declich)

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