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La Cina si allontana, ne parla il Corriere della Sera

Porto di Trieste dall'alto

Riportiamo un interessante articolo sulla questione del Porto di Trieste, il ricorso al Tar di Zeno D'Agostino, e la paura (di qualcuno) che l'avanzata cinese potrebbe recare dei danni alla città.


Si potrebbe concludere che più che la Via della Seta da noi quella che conta è la Via del Tar. È quanto sta avvenendo nel caso del Porto di Trieste: i cinesi sembrano più lontani, il contenzioso amministrativo più vicino. Attivata dalla Guardia di Finanza, l'Anac nei giorni scorsi ha preso un' clamorosa: ha defenestrato Zeno D'Agostino, presidente dell'Autorità portuale, per una presunta incompatibilità risalente al lontano 2016. Il manager veronese, dal nome che evoca inevitabilmente Svevo, quattro anni fa era presidente — senza compiti gestionali — di una , la Trieste Terminal Passeggeri, di cui l'Autorità era azionista al 40%. Ergo, secondo l'Anac, la nomina non sarebbe dovuta passare e il recente blitz avrebbe solo sanato un'irregolarità in essere.

In realtà della stessa norma esistono più letture e c'è in corso addirittura un'iniziativa parlamentare specifica per reinterpretarla ed evitare la cacciata di un manager che la città difende a spada tratta. Lo dimostrano ben due manifestazioni di piazza tenutesi nei giorni scorsi, la solidarietà appassionata dei lavoratori portuali, l'incoraggiamento di gran parte dell'opinione pubblica giuliana e il pronunciamento sia del sindaco Roberto Dipiazza («Quella dell'Anac è stata una decisione folle») sia del responsabile dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. Ma, per l'appunto, sarà il Tar il 24 giugno a dare ragione agli uni o agli altri.

Il ministero delle Infrastrutture, competente della materia, non potendo presentare ricorso diretto si costituirà davanti ai giudici amministrativi. Spiega il ministro Paola De Micheli: «Massimo rispetto per il giudizio formale che verrà valutato nelle sedi competenti, ma sul piano sostanziale D'Agostino è stato un ottimo presidente e il ministero non ha dubbi: vuole continuare a investire sulla sua professionalità». Che in questo caso fa rima con popolarità: se il manager impazzisse e lasciasse il business per candidarsi a sindaco molto probabilmente vincerebbe.

Insieme a tanta passione in città c'è inevitabilmente anche qualche grumo di veleno. Il Grande Vecchio di Trieste, Giulio Camber, ex parlamentare forzista e regista occulto della vita politica locale, è stato tirato in ballo, anche questa volta, come presunta manina del ricorso stronca-Zeno. E lui alle accuse, peraltro non provate, ha pensato bene di replicare spargendo allusioni verso «i prestanome degli interessi cinesi» nell'Alto Adriatico. Alle polemiche triestine fanno da contrappeso quelle romane.

L'Anac dopo l'uscita di Raffaele Cantone è precipitata in una sorta di cono d'ombra e più di qualcuno vorrebbe tagliarle le unghie. Alla testa dell'anticorruzione oggi c'è Francesco Merloni, un professore che insegna a Perugia, che sul caso dell'incompatibilità triestina sostiene di aver suonato per l'allarme senza però che la politica intervenisse per cambiare la norma e risolvere il rebus giuridico pendente. Non gli va affatto di passare come un burocrate ammazza-porti e richiesto di un commento il presidente Merloni fa sapere che «la riforma dei porti del 2017 è stata concepita per evitare conflitti d'interesse: scindere gli interessi pubblici, curati dall'Autorità portuale, da quelli privati, affidati alle imprese che vi lavorano». Quindi l'Anac si è limitata ad applicare quanto prevede la legge, secondo l'interpretazione che ne ha dato il Consiglio di Stato. «L'implicita conferma della correttezza della decisione — aggiunge Merloni — viene anche dalle iniziative parlamentari volte a modificare la norma. Spero, però, per non abbassare la guardia nei confronti dei conflitti di interesse». Morale: il pasticciaccio giuliano si sarebbe potuto evitare ma in troppi hanno fatto i furbi lasciando che il cerino acceso finisse all'Anac.

Eppure attorno alla leadership del Porto di Trieste ci sarebbero da discutere rilevanti questioni di sostanza, lasciando i cavilli agli amministrativisti. Non è un caso che i riconoscimenti per la lucidità manageriale di D'Agostino siano ampi e motivati dall'aver portato Trieste in testa al ranking dei porti italiani per tonnellaggio e traffico ferroviario. Per dirla alla Svevo, i triestini credono che Zeno abbia la coscienza a posto avendo profondamente innovato il Porto. Innanzitutto con una scelta di : per fare la concorrenza allo scalo di Capodistria, vicinissimo e avvantaggiato dal basso costo del e dagli incentivi fiscali del governo sloveno, Trieste ha puntato su quello che chiamano «il made in Italy della portualità». Contratti e ingaggi regolari per la manodopera con l'obiettivo di produrre un servizio di qualità e non sfibrarsi nel girone infernale della competizione low cost. Una ricetta, viene da dire, che forse andrebbe applicata per rilanciare l'intera logistica italiana oggi confinata ad occupare solo la fascia bassa del business.

Come ha spiegato Andrea Illy, il principale industriale privato giuliano, «prima per le spedizioni dovevano uscire i camion fino ad Amburgo e Rotterdam, oggi riceviamo qui caffè da 20 Paesi e lo spediamo in 140». E infatti il secondo segreto di Zeno è stato quello di puntare sull'intermodalità, ovvero massima integrazione porto-ferrovia attirando su Trieste una serie di attenzioni che hanno portato nei giorni scorsi alla stipula di un importante accordo con il governo ungherese e più in generale a riportare la città di nella Mitteleuropa dei flussi di merci.

Il fattore Est
E la Via della Seta? A Trieste i progetti infrastrutturali cinesi avevano generato nei mesi passati grandi entusiasmi e al tempo del memorandum firmato da Roma con Pechino le polemiche avevano lambito il Porto. Ma quel progetto è ancora attuale, dopo la pandemia continua a rappresentare una priorità del regime di Xi Jinping?

Sono molte le tendenze che congiurano per uno stop della Seta: in primo luogo la rimodulazione della globalizzazione verso la definizione di macro-aree regionali autosufficienti; in secondo luogo l'estrema attenzione che Pechino, in termini di risorse, deve porre alla creazione di posti di lavoro interni per dare risposte a 180 milioni di disoccupati senza ammortizzatori sociali (il premier Li Keqiang ha proposto di rilanciare persino l'ambulantato); in terzo luogo le contestazioni che diversi Paesi del Terzo Mondo stanno avanzando per le clausole-capestro imposte loro da Pechino in cambio della partnership.

Reazioni registrate con puntiglio da un recente articolo dall'Economist. Spiega Sergio Bologna, uno dei maggiori esperti di logistica italiani: «In Italia c'è stata troppa enfasi mediatica sull'arrivo dei cinesi, quasi che fosse alle viste un bis dell'operazione di conquista del Pireo. Il vero tesoretto del Porto di Trieste viene dalla rinnovata centralità e dai rapporti costruiti con i danesi, i greci, i tedeschi e ora gli ungheresi». E di conseguenza, a prescindere dal futuro di D'Agostino, per Trieste il rallentamento della Via della Seta non equivale a un dramma. Il presidente del Porto, raccontano i suoi collaboratori, non si fascerebbe la testa. A suo dire i cinesi hanno già fatto tantissimo per l'Adriatico: hanno detto a tutto il mondo che le merci dirette al cuore dell'Europa possono passare da Sud e non necessariamente da Nord.

Un grande spot per il mare di Trieste che forse nessun italiano avrebbe saputo pensare e che ha aiutato la città a rinverdire gli storici legami con la Mitteleuropa.

Dario Di Vico
24 giugno 2020
Corriere della Sera

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