interVENTI in Castello
Castello di Kromberk di Nova Gorica _opening giovedì 28 novembre ore 18.30
Nell’ambito di L’Energia dei Luoghi #10 / Festival del Vento e della Pietra / Polifonia Carsica
Al suggestivo Castello di Kromberk di Nova Gorica (Grajska cesta 1) in Slovenia si inaugura giovedì 28 novembre alle 18.30 la mostra ““interVENTI in Castello”, nell’ambito di L’Energia dei Luoghi #10 / Festival del Vento e della Pietra / Polifonia Carsica organizzato da Casa CAVE Visogliano/Vižovlje, sostenuto da Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Comune di Duino Aurisina e Fondazione Pietro Pittini in proiezione di GO! 2025 Nova Gorica e Gorizia, Capitale europea della cultura.
Curata da Katarina Brešan e Massimo Premuda in collaborazione con il Goriški muzej-Museo del Goriziano, l’Archivio Miela Reina e il Museo della Bora, la mostra presenta una ventina di poeticissimi progetti sul vento pensati nel 1970 da Miela Reina con gli amici artisti Mario Sillani, Carlo de Incontrera e Enzo Cogno del “Centro Operativo Arte Viva” di Trieste. L’esposizione fa conoscere in particolare l’Eolofono, un’utopica macchina capace di riprodurre i suoni e le vibrazioni del vento, messa in dialogo con le opere di Vasja Žbona della Collezione d’Arte del Castello di Kromberk, di cui il Goriški muzej custodisce il prezioso fondo, ma anche con le ricerche contemporanee del sound artist Michele Spanghero, del fotografo Furio Scrimali e del giovane musicista elettronico Jesus Valenti Mora Castro.
La mostra sarà aperta al pubblico da 28 novembre 2024 al 26 gennaio 2025, da martedì a venerdì dalle 9 alle 17 e domenica e festivi dalle 10 alle 18 (lunedì chiuso | sabato su prenotazione), biglietto intero 4€ | ridotto 2€.
Info:
Castello di Kromberk
+386 (0) 5 3351811 – goriski.muzej@siol.net
https://goriskimuzej.si – https://www.facebook.com/gmuzej
Casa CAVE Contemporary Art VisoglianoVižovlje Europe
333 4344188 – casacave.art@gmail.com
http://casacave.eu – https://www.facebook.com/CasaCAVE.contemporaryAr
SINOSSI
Nel 1970 Miela Reina (Trieste, 1935-Udine, 1972), insieme agli amici artisti Enzo Cogno, Carlo de Incontrera e Mario Sillani del “Centro Operativo Arte Viva” di Trieste, realizza una serie di 22 fantasiosi progetti dal titolo “interVENTO”, tutti ispirati all’elemento caratterizzante la città di Trieste, per partecipare a un’iniziativa dello “Studio 970 2” di Varese su invito di Luciano Giaccari, pioniere nel campo del video d’arte e animatore di un enorme archivio. Il lavoro che ne scaturisce è una ironica e fiabesca serie di idee che, proprio per la forza dell’immediatezza dello schizzo, risultano oggi particolarmente intriganti in quanto riassumono molti dei temi, delle tecniche e delle soluzioni cari all’artista, si va così dal disegno al collage, dalla proiezione all’happening, dagli oggetti-personaggi e oggetti pittorico-scenici fino al racconto-fumetto.
Dal narrativo alfabeto visivo della Reina, emerge in particolare l’invenzione di una “turpe macchinetta” chiamata Eolofono che, in collaborazione con il compositore Carlo de Incontrera (Trieste, 1937), si prefiggeva il compito di far vibrare – una volta entrato in azione – tutti i vetri di uno spazio ognuno con caratteristica propria, o ancora, se posizionata nella natura, venir suonata soltanto da musicisti professionisti. Le fotografie di questo suggestivo happening di un oggetto, ma senza pubblico, realizzate all’epoca da Mario Sillani Djerrahian (Addis Abeba, 1940) nel Parco di Villa Revoltella, in dialogo con la serra ottocentesca e il giardino inglese, fanno emergere in particolare l’aspetto di “manipolatrice scenica” dell’artista, che Gillo Dorfles aveva sapientemente riassunto così nel catalogo del 1980 edito da Electa: “Si osservino ancora i lavori dell’ultimissimo periodo, sfociato nella ideazione e nella realizzazione di numerose performances, che l’hanno vista spesso lavorare in équipe con gli amici triestini di Arte Viva. Anche in questo caso abbiamo – attorno ad un esile filo narrativo – la creazione di “oggetti pittorico-scenici” altamente suggestivi. Si tratta di “pozzanghere” in lamierino dipinto; di colline e “arcobaleni” in gommapiuma e mobili su rotelle; di grandi pupazzi, lettere gigantesche pure ritagliati nel legno e dipinti, sempre con colori acrilici e piatti; persino d’un grosso pupazzo: pianista-paracadutista in gommapiuma e cartone ondulato, che suona un mini pianoforte pure in cartone; o ancora, di alcune “docce” di stoffa da cui esce un getto fatto di plastica.”
La sua poetica e inventiva pittorica, narrativa, scenografica, fiabesca e giocosa, e caratterizzata da un teatrino permanente in cui far vivere, con sapienti manipolazioni artigiane, i fantastici oggetti-personaggi della sua immaginazione con vivaci creazioni grafico-pittoriche, risulta senza pari nell’ambito dell’arte triestina e venne definita sempre da Dorfles come: “Un episodio, che sta a cavallo tra pittura e teatro, tra disegno e spettacolo, tra decorazione e illustrazione, caratteristica questa così tipica della migliore arte dei nostri giorni: la sua qualità “intermedia”, di mediatrice tra arti diverse. Ma si tratta, comunque, d’un episodio di estrema coerenza e di grande originalità.”
Le opere di Miela Reina sono messe in dialogo con alcuni assemblage di Vasja Žbona (Merna, 1945-Parigi, 2013) che mostrano il lato più giocoso e quasi dadaista di questo scultore che, pur vivendo a Parigi, traeva ispirazione soprattutto dalla natura del proprio territorio, alla quale rimaneva legato. Žbona si trasferì dal paese natio Merna nella metropoli parigina, entrando nella
cerchia dell’artista cubano Augustín Cárdenas. Come suo assistente adottò approcci surrealistici e il cosiddetto biomorfismo, che astrae le forme essenzialmente dal mondo vegetale. Per le proprie opere, che definiva “piccoli granelli di vento”, Žbona adoperava diversi materiali, bronzo, pietra, ma soprattutto amava le svariate tipologie del legno che, con le proprie linee e sfumature, creano composizioni sempre diverse. Nella serie degli assemblage riuscì a raccogliere oggetti di uso quotidiano ormai inutilizzabili che, con una sottile ironia, trasformò in piccole composizioni poetiche, quasi utopiche, lasciandosi andare a una libertà oltre le convenzioni. Questa natura dell’artista si rispecchia anche nelle brevi poesie che amava scrivere in francese, quasi delle istantanee di momenti effimeri: Feuille rouge d’automne / Chaloupe / Au vent qui passe (Foglia rossa d’autunno / Scialuppa / Al vento che passa).
Accanto a queste ricerche storiche, un lavoro insolito del sound artist Michele Spanghero (Gorizia, 1979), che in passato ci ha abituati a rigorose sculture sonore molto elaborate dal punto di vista tecnologico e concettuale, presenta in questa occasione una giocosa opera su carta realizzata a pennarello dal titolo “Pictura vento boreale”. L’opera è nata dal tentativo di visualizzare qualcosa di invisibile, la materia instabile in cui siamo costantemente immersi, l’aria, attraverso la sua manifestazione dinamica del vento. Spanghero ha così deciso di legare dei pennarelli ai rami di un albero e lasciare che il movimento delle fronde, scosse dalle folate di Bora, tracciasse un segno grafico sulla carta. Il risultato è dunque frutto di un processo naturale in cui l’artista sospende la sua volontà soggettiva, mettendo tra parentesi il ruolo di autore materiale dell’opera, per lasciare che sia il fenomeno naturale, con tutta la casualità, ad affermarsi e rivelarsi.
La mostra prosegue con due raffinati trittici in bianco e nero del fotografo Furio Scrimali (Trieste, 1959) che ci raccontano della furia della Bora sul paesaggio carsico. Nel primo l’artista ci mostra gli effetti del freddo vento nordico sull’elemento acqua che da neve si trasforma in ghiaccio plasmato dalle raffiche e creando incredibili forme, un vero e proprio lavoro scultoreo creato dalla sinergia delle bufere carsiche con la Bora Scura e la Bora Chiara. Invece nel trittico dedicato ai muretti a secco, caratteristiche costruzioni carsiche erette proprio a difesa del forte vento, mette in luce un’opera dell’uomo che marca il nostro panorama naturale e culturale con l’utilizzo della pietra. L’autore, affascinato dai grafismi ancestrali di questi manufatti rurali, che nel 2018 l’UNESCO ha giustamente iscritto nella lista del Patrimonio culturale immateriale, riflette sull’equilibrio e la maestria costruttiva intravedendo mute storie di infinite generazioni di uomini.
Tutti i lavori in mostra sono infine accompagnati dall’installazione sonora “Bora – Il respiro dell’assurdo” di Jesus Valenti Mora Castro (Venezuela, 1994). Il progetto sonoro dedicato alla Bora di Trieste è una soundscape composition che trasforma il celebre vento della città in una vera e propria esperienza sonora. Il vento, registrato in diverse situazioni, diventa la materia prima di una complessa manipolazione acustica, ispirata alle tecniche del contrappunto musicale, dove un tema viene trattato in molteplici maniere. Questo lavoro non si limita a un semplice paesaggio sonoro, ma crea una narrazione acustica, dove ogni manipolazione del suono apre nuove prospettive sull’essenza stessa della Bora. Un’opera che unisce natura e tecnologia, ordine e caos, portando l’ascoltatore a riscoprire il vento attraverso una lente musicale, in un gioco continuo tra l’udibile e l’invisibile.